Sulle orme di Federigo Tozzi

IL PROGETTO

La narrativa di Federigo Tozzi è ricchissima di descrizioni di Siena: dalle vie e i vicoli del centro storico alle fonti, dai luoghi di culto alle piazze, dalle botteghe artigiane alle dimore signorili, e sino all’immediata periferia. Queste descrizioni ritraggono non solo una Siena a cavallo tra i due secoli per molti aspetti diversa da quella odierna, ma possiedono anche una forte carica evocativa, con effetti spesso espressionistici e deformanti.

Ricostruire la rete dei luoghi tozziani significa da un lato raccontare la storia di quegli stessi luoghi, dall’altro rileggerli attraverso il filtro della letteratura e dell’invenzione narrativa, per restituirli infine, in tutta la loro profondità, alla cittadinanza, agli studenti delle scuole e dell’Università, agli utenti di un turismo culturale esigente che chiede forse qualcosa in più di un rapido tour dei luoghi e dei monumenti più noti della città.

Il progetto è risultato vincitore del bando SIENAindivenire – consacrato alla valorizzazione dei luoghi identitari di Siena e del suo territorio – e gode pertanto del finanziamento della Fondazione Monte dei Paschi.

[…] È breve la distanza tra la mole rude e rossiccia di San Domenico e le case che s’arrampicano alla rinfusa, un’altra volta, in ogni direzione attorno al Duomo, fermandovisi sotto a pena che lo toccano; ma, a guardare di lì la profondità vuota di Fontebranda, ci si sente mozzare il respiro.

     L’Ospedale, alto su le mura, rosso sangue, lo vedeva doventare del colore della terra bruciata; il turchino del cielo, bigio. E poi le prime stelle, qua e là, così sparse che gli facevano angoscia.

     I vicoli, simili a spaccature e a cretti enormi, s’anneravano.

     Tra i giardini e gli orti, l’uno più alto dell’altro, chiusi dentro i muri rettangolari, che spesso hanno a comune, nelle insenature o nelle sporgenze delle colline, e seguendo i loro pendii diseguali, il barlume della notte gli sembrava che cadesse come quando piove a dirotto.

     Un briaco cominciava a cantare e poi smetteva. La Costaccia come il parapetto d’un abisso, e il Costone quasi a picco, con il suo arco greve e largo che lo tiene fermo perché sopra ci passi un’altra strada, salgono di squincio, verso le case.

     Non due tetti della stessa altezza, anche se accanto. Grumoli piccoli e grandi di case che s’allungano parallelamente obliqui e storti: alcune volte le case stanno a due e tre angoli l’uno dentro l’altro, a cerchio, a nodi, serrate insieme, mescolate, aggrovigliate, con curve rotte o schiacciate, sempre con improvvisi cambiamenti; obbedendo alle forme delle colline, ai pendii e alle svolte delle vie, alle piazze che dall’alto paiono buche.

     Ad un tratto, uno stacco tra due case, e poi le altre che s’afferrano e si tengono ancora, con forza, pigiandosi e abbassandosi e poi risalendo e girando per sparire leste leste dietro quelle che hanno un movimento affatto diseguale e che vengono incontro dalla parte opposta; salite su; ma anche queste s’interrompono quasi subito per doventare una raggiera più larga, irregolare, tutta piana oppure contorta; dentro la quale si mettono e s’avventano case, di sghembo, a traverso, come riescono e possono; spinte da altre che fanno l’effetto di volersi accomodare meglio ed assestarsi, ciascuna per conto proprio.

     Le case, bassissime, quasi per affondare nella campagna, da Porta Ovile, da Fontebranda, dai Tufi, sorreggono quelle che hanno a ridosso, le trattengono dalla loro voglia di sparpagliarsi più rade; i punti più alti sono come richiami alle case costrette ad obbedire per non restare troppo sole.

     Nei rialzi sembra che ci sia un parapiglia a mulinello, negli abbassamenti le case precipitano l’una addosso all’altra; come frane. Oppure si possono contare fino a dieci file di tetti, lunghe lunghe, sempre più alte: di fianco, altre file che vanno in senso perpendicolare alle prime.

     La Torre del Mangia esce fuori placida da tutto quell’arruffio.

     E attorno alla città, gli olivi e i cipressi si fanno posto tra le case; come se, venuti dalla campagna, non volessero più tornare a dietro.